Un documentato riassunto della attività -
specie di proposta legislativa - svolta dal Ministro
della Pubblica Istruzione sotto la
guida dell'onorevole Mario Pedini durante
gli anni della sua responsabilità governativa
sarebbe già di per sé utile ed importante. Ma
acquista un cospicuo valore aggiuntivo perché
mette in evidenza che in un periodo nel
quale angosciosi erano i problemi del terrorismo
e del salvataggio economico-finanziario,
il governo non ha trascurato affatto il
settore della scuola, sia negli aspetti congiunturali
(questioni retributive e di status)
sia in un efficace impulso dato alle riforme.
Certamente è un campo dove non esistono dogmi; e spesso ci si trova dinanzi
a tendenze contrapposte sostenute con eguale vigore, al di sopra - quasi sempre -
degli schieramenti politici di parte.
Ma c'è di più: accade sovente che quando ci si lascia convincere della bontà di
una tesi, chi l'ha sostenuta con vigore iniziale abbia già mutato avviso, in un ripensamento
che è commendevole segno di disponibilità autocritica ma è anche
causa di continua incertezza.
Anche il frequente riferimento fatto in Italia alle esperienze straniere - tra
l'altro non sempre presentate con esattezza - perde molto di validità perché lo si
estranea dal quadro storico, psicologico e culturale cui si riferisce per trasferirlo
in modo assai improprio al nostro specifico contesto nazionale.
A questo riguardo va auspicato un progressivo coordinamento armonizzante,
per ora soltanto episodicamente abbozzato, degli indirizzi e dei programmi scolastici
dei Paesi della Comunità Europea.
La «libera circolazione» ed il diritto all'insediamento restano infatti per un
ampio spettro tuttora soltanto teoricamente scritti nel Trattato di Roma. Vi è poi,
su più vasta scala, un avvicinamento di cui si discute da tempo in sede UNESCO
ed altrove e che ha avuto qualche spiraglio di soluzione per quel che concerne
l'insegnamento universale della storia (da noi in modo sconcertante a lungo impostato
solo sulle grandi e piccole guerre, ignorando tutto il resto).
Dalla ricostruzione cronistorica curata dal ministro Pedini si rileva che nel periodo
in esame si superò favorevolmente un punto critico che dalla Liberazione
in poi inceppò spesso i discorsi sulla scuola: la priorità data alla riforma delle Università
rispetto a quella degli ordini inferiori di studi. L'avere messo in condizione
il Parlamento di conoscere un disegno globale è stata una novità favorevolmente
apprezzata ed accolta.
Non spetta a me di entrare nel merito delle decisioni assunte dal Consiglio
dei ministri, dei pareri espressi in commissione e dei voti nelle assemblee. Mi
sembra comunque di potere in tutta obiettività ricordare l'ampio dibattito suscitato
nel Paese e non soltanto tra gli operatori scolastici. Ed è facilmente constatabile
che quanto non trovò compimento durante la passata legislatura ha formato
una puntuale piattaforma successivamente ripresa nella legislatura attuale. L'onorevole
Pedini ne ha dato una chiara dimostrazione.
Accanto alle leggi, ai decreti e agli accordi sindacali durante la gestione Pedini
furono affrontati alcuni risvolti, di cui va proseguito l'approfondimento. Mi riferisco
all'orientamento professionale che deve essere meglio organizzato per dar
modo ai giovani di avere valide idee sullo sbocco futuro dei vari indirizzi di formazione.
E mi riferisco altresì alla grave questione del surplus di laureati e di diplomati
che si è venuto accumulando in modo particolare nell'Italia del sud. Il
delicato interrogativo sulla superabilità del valore legale dei titoli di studio rimane
tra quei nodi che possono essere differiti, ma non esclusi.
Mario Pedini ha ora «trasferito» il centro del suo lavoro politicorappresentativo
nel Parlamento Europeo, dove gli è stata affidata una presidenza specificamente importante
nel settore culturale. Potrà far molto, anche ai fini di quella politica scolastica
comunitaria che è uno dei cardini del consolidamento delle istituzioni europee.
Giulio Andreotti
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