QUANDO C'ERA LA D.C.
1994  

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ESERGO: TESTIMONIANZA DI UN LETTORE
Ho avuto l'onore e il piacere di leggere queste memorie politiche in anteprima e di conoscerne la stesura iniziale e poi quella definitiva, che vede luce in questa edizione bresciana. Tra l'una e l'altra – eccezion fatta per il Congedo, di cui t 'recenti casi italiani hanno consigliato la riscrittura - le differenze sono di carattere formale, limitandosi ad alcuni ritocchi, che qua e là hanno reso più scorrevole il dettato e armonizzato meglio qualche linea al complessivo disegno. In genere, l'insieme ha conservato l'andamento serrato e incisivo dell'esito primario, la immediatezza della spontaneità impulsiva, sorvegliata ma mai sacrificata alla ricerca a freddo di una compiaciuta eleganza. Segno che la materia urgeva e veniva dipanandosi in uno sviluppo senza ingorghi e fratture.
Del resto Mario Pedini ha dato sempre saggio di scrittore dal piglio deciso e dalla maniera asciutta, che non conosce o spregia l'arte di insinuarsi nel lettore e sedurlo, sforzandone il consenso, e se ne sta lontano dalle mode, pago del suo gusto umanistico e della sua attitudine a comunicare, senza gli indugi e le volute che impreziosiscono ma stemperano il discorso. Di qui l'impressione che lo scrivere non sia per lui qualcosa di nettamente distinto dall'agire, la pausa di riposo, l'ozio letterario del politico dalla ricca e varia formazione culturale, in cui l'arte ha una sua incidenza e un suo spazio, ma esso stesso sia in qualche modo azione, o dell'azione costituisca ora il presupposto, ora la consapevolezza meditata e riflessa, ora il prosieguo su un piano diverso eppur volto al medesimo fine. La genesi dei suoi libri è pertanto legata ai progetti da lui perseguiti in ambito parlamentare e governativo, progetti le cui occasionali contingenze e le singole specificità acquistavano un più vasto significato, in quanto considerati come momenti di un'organica tessitura politica, che dall'Italia si allargava all'Europa e di qui ai paesi afroasiatici e latino-americani in via di sviluppo. Così alla sua molteplice attività di membro del Parlamento italiano e di quello europeo, al lavoro realizzato o avviato da lui nei dicasteri cui era preposto sono riconducibili, come alla propria matrice di fondo, i non pochi scritti da lui dedicati ai problemi e alle prospettive dell'unificazione economica e politica dell'Europa, del comune utilizzo delle nuove fonti energetiche, del processo di autonomia dei popoli del terzo mondo, avviati a divenire protagonisti attivi e sempre più consapevoli della loro storia.
Ora, a un decennio dalla sua uscita dai ruoli ufficiali della vita politica, Mario Pedini dà alla luce queste sue memorie, in fronte alle quali non si leggerà la dichiarazione proemiale di un libro, anch'esso di memorie, caro alle generazioni del nostro Risorgimento: «Simile ad un amante maltrattato dalla sua bella ... lascio la politica ov'ella sta, e parlo d'altro». La tentazione di rifugiarsi nella sfera del privato, che l'attuale stagione di ferro indurrebbe negli animi più forti, non lo sfiora nemmeno: la rinunzia è una complicità e una colpa. Ed egli fin dal frontespizio connota come «politici» questi suoi «ricordi» e li inscrive in un'epoca caratterizzata dalla parabola del partito che per mezzo secolo ha improntato la storia italiana e che è stato il partito di cui egli ha condiviso gli ideali e i programmi, con i cui uomini ha operato in un impegno comune, ma di cui ha sofferto le lacerazioni e il declino, forse determinati da una necessità storica, ma pure, ai suoi occhi, non colti o non voluti cogliere e non senza colpe antiche o recenti. Ispiratore di questa rievocazione del passato, in cui le vicende personali si intrecciano con quelle pubbliche, non è il rimpianto di ciò che è irrimediabilmente perduto, né l'intento apologetico della propria opera e dei propri tempi, né la volontà di offrire una summa storica, in cui i fattisi accampino alla luce di una univoca valutazione. Il libro, infatti, è in sostanza una testimonianza politica e, a suo modo, ancora una battaglia politica. Certo, vi affiora a tratti una venatura di nostalgia, sempre virilmente contenuta, per persone e vicende entrate nel cerchio degli affetti e, ancor più, per uno stile di vita, per una cultura, per una civiltà, che improntavano le stesse lotte e gli stessi scontri dei partiti e nell'interno dei partiti, impedendone il degenerare in rivalità di interessi e di fazioni. E, certo, una dominata commozione pervade alcuni momenti del racconto e si disposa alla forza evocativa con risultati indimenticabili: e valga per tutte la pagina dedicata al rito funebre per Moro celebrato nella basilica di san Giovanni da Paolo VI, ove poche notazioni creano un'atmosfera tragica di solitudine e di morte. Ma anche nei mezzi toni, negli andanti briosi e sorridenti, il narrare trova approdi felici: si pensi alla farsa del carro mortuario, in cui la rivalità fra paesi mette in moto una situazione pirandelliana. L'importanza e la suggestione di queste memorie non vanno ricercate però negli squarci eccentrici, in cui più abbandonato o sbrigliato si realizza un vivace estro affabulatore: una tale attitudine a cogliere gli aspetti anche minuti e sfuggenti del reale, purché caratterizzano una situazione e un personaggio, fa sì che la foltissima schiera di uomini e fatti - si accampino sullo sfondo domestico della terra bresciana, nei parlamenti di Roma o di Strasburgo, nei ministeri italiani, in Africa o in America - vivano fissati in un rilievo che ne coglie l'intima essenza: si pensi agli occhi di Nenni, alla sigaretta di Pompidou, al signorile distacco di Moro. In tutta la rievocazione, che tanta materia di ripensamento e tanti spunti offre a un'analisi storica dell'arco cronologico e ideale da essa abbracciato, emergono le due direttrici che hanno guidato l'azione politica di Mario Pedini e che possono costituire un punto di riferimento per le nuove lotte democratiche e civili - ove se ne ridesti desiderio negli Italiani -; la moderazione, che è una forza irresistibile, e di cui un risvolto è la condanna di ogni integralismo vecchio o nuovo; il guardare dall'Italia l'Europa e il mondo, e dall'Europa e dal mondo l'Italia.

Mario Scotti

Ordinario di letteratura italiana
all'Università di Roma «La Sapienza»
Roma, 25 ottobre 1994


Queste pagine, se offerte a vasto pubblico, non avrebbero forse molti lettori: sono invero solo «cronaca di altri tempi». Tempi che «altri» erano anche perché in essi diverso era lo stile con cui si faceva politica, diversa era la carica ideale con cui ci si avvicinava alla Storia nuova per garantire in essa la funzione e la dignità della nostra Italia rinata a libertà dopo il fascismo ed avviata, in solidarietà con il mondo libero, a democrazia. Epoca diversa, la nostra, oltre che per stile di umano comportamento, anche perchè in questi anni nuovi e di nostra vecchiaia, pure i problemi del vivere civile, quanto a dimensioni, si sono sotto certi aspetti dilatati e sotto altri rimpiccioliti.
A chi affidare dunque queste pagine?
Ai miei figli ed ai miei nipoti che forse guarderanno ad esse con amore come ad un messaggio privato e, spero, come a documento di coerenza di azione politica e di servizio civile. Ai molti amici che le leggeranno credo volentieri anche per rivivere ideali, speranze, delusioni di un'epoca importante per l'Italia, per l'Europa, per il Mondo e nella quale insieme abbiamo operato con impegno anche cristiano. E forse anche i miei amici, come me, coglieranno oggi meglio di ieri gli aspetti positivi di quel nostro vivere «di allora» dimenticando gli episodi amari e le vicende dolorose... (è d'altronde in età matura che meglio tu puoi giudicare il paesaggio storico da cui sei passato, coglierne sinergie solo ora evidenti, individuarne proposte non sempre a suo tempo comprese). A me stesso perchè - lasciatemelo dire - quel mio ritornare sugli eventi del mondo del mio tempo mi ha in verità «esaltato», mi ha consentito di rivivere, sia pure a volo d'uccello, una vita di cui ringrazio il buon Dio, i miei cari, i miei amici, la Storia. Ma oggi, mentre le licenzio, può anche essere che queste pagine, concluse in giorni non più fiduciosi come quelli in cui esse furono avviate, ma insidiati da dubbio sul futuro della nostra Italia, valgano a ricordare (il che può esser gradito anche ad altri lettori) che vi sono stati lunghi anni in cui la politica di casa nostraè stata corretta, onesta, forte di ideale.
Anni di cui coloro che ne sono stati protagonisti, grandi e piccoli, si sentono orgogliosi anche in stagione di crisi perchè sanno di avere in essi bene operato. Anni di cui, ne sono certo, ritornerà nostalgia e che vanno ricordati perchè da un passato decoroso si potrà sempre attingere stile adeguato alla dignità dell'Italia ed alla certezza del suo futuro.

Mario Pedini