ERASMO DA ROTTERDAM
1973  

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Dell'umanesimo nordico Erasmo da Rotterdamè la figura più eminente ed affascinante, una pagina sempre da rileggere della storia della cultura europea, anche se a livello filosofico non va oltre le intuizioni a volte suggestive o i suggerimenti che invitano alla riflessione. Ciò spiega l'interesse degli studiosi d'ogni tempo, la diversità delle interpretazioni e la vasta bibliografia che va sempre arricchendosi di nuovi contributi, come pure l'attrattiva che egli esercita ancora oggi tra gli studenti seri, che non di rado lo propongono come tesi di laurea. La prima volta, nella mia ormai lunga milizia di professore universitario, me lo propose a questo fine nel lontano 1941 Mario Pedini, studente di filosofia nell'Ateneo pavese durante gli anni indimenticabili che vi ho insegnato. Tra un allarme e l'altro e con nel cuore il peso della guerra, il mio bravissimo scolaro portò a termine, sotto la mia guida, la sua ricerca; nel 1942 sostenne brillantemente la tesi. Ora, dopo oltre trent'anni, quel testo, riveduto, rifatto e arricchito di una parte nuova, è tornato sotto forma di libro sul mio tavolo affinché lo leggessi e lo presentassi ai lettori. L'antico scolaro - che subito dopo la laurea avevo avviato alla carriera scientifica, da lui lasciata per la scelta di quella politica, dove si è meritatamente affermato - ha voluto che il suo vecchio professore tenesse a battesimo,
per la seconda volta, questo suo Erasmo che si aggiunge ad altri suoi lavori di diverso argomento, ben noti agli studiosi competenti. Di questa fedeltà, che è fatta anche di schietta amicizia e di sincera stima reciproca, ringrazio Mario Pedini. Ma questo Erasmo è scritto con intenzioni e spirito diversi da quelli della tesi del '42; l'attenzione è concentrata sul pensiero politico e sociale, cioè sugli interessi più propri del Pedini di oggi, che in quel pensiero ha visto una luce di attualità. Di qui l'« Introduzione » e le « Variazioni su tema di Erasmo», impegnate nel tentativo, sulla base della situazione politica e sociale di oggi, di fare del migliore Erasmo un messaggio valido per il nostro tempo, una voce da ascoltare ancora.
Tra l'inizio e la conclusione del volume, l'equilibrato capitolo su « Umanesimo e cristianesimo in Erasmo» e i tre centrali su «Erasmo e la libertà», «Erasmo nella riforma», «Erasmo e la società».Chi scrive, pur nutrendo non poche simpatie per l'umanista di Rotterdam, ha sempre visto il limite del suo pensiero nel debole fondamento filosofico, debolezza che si ripercuote nella teologia non priva, soprattutto negli scritti giovanili, di errori, di incertezze e di imprecisioni: basti pensare al problema dei rapporti tra libertà e grazia e all'altro del rinnovamento del dogma. Tuttavia Erasmo, che nella maturità si avvicina sempre più all'ortodossia, pur riconoscendo con Lutero che l'uomo senza la grazia non può progredire nel bene, contro Lutero riconosce all'uomo « studium et conatus », ne difende e rivendica la libertà conce il fulcro della sua dignità e come quella per cui vi sono valori umani e perciò vi è una visione umanistica della vita. Così, nel momento in cui si batte contro la concezione luterana dell'uomo necessitato e schiavo di un tirannico Dio, evita lo scoglio di Pelagio, dell'uomo che superbamente presume che debba tutto alle sue sole forze. Ma queste ed altre tesi, che il Pedini mette in luce con chiarezza e senza pesantezza dottrinale, restano in Erasmo allo stato di suggestive intuizioni, direi, di entusiasmo, più del « vissuto » che del « riflesso».Anche Erasmo si presenta come un rinnovatore e come un riformatore dei costumi e della cultura. Con Lutero, ma senza la sua rabbia sanguigna ed attraverso una fine anche se pungente ironia, propugna la riforma del monacato e degli ecclesiastici in generale, ne satireggia la corruzione - però non risparmia quella dei laici - e la pratica religiosa esteriore (nei Colloqui, nelle lettere ecc.) priva di spirito cristiano, lotta contro i privilegi; ma, come ben nota il Pedini, della vita monacale sa riconoscerei lati positivi. Come Lutero ma con spirito non luterano, reagisce alla decadenza della vita religiosa e vuole rinnovarla, intravede tempi nuovi: ma ciò non autorizza a considerare Erasmo, come lo considera qualche interprete, un precursore di Voltaire e del mo dernismo. Giustamente nota il Pedini, Erasmo resta fedele a Roma « anche quando è forte l'attrattiva a passare nelle file di Lutero». Fondamentale a questo proposito l'Enchiridion Militis Christiani, dove Cristo è posto come modello da imitare, dove alla falsa saggezza è contrapposta una sapienza superiore, alle pratiche esterne una fede interiore, viva, operante.Ma anche a questo proposito Erasmo si rivela l'umanista del secolo che fu suo: la fede, sì, ma la cultura ne è la propedeutica indispensabile, anche se l'Olandese riconosce la fede degli umili; i testi sacri e i Padri, certamente, ma i classici greci e latini sono necessari. Oltre che alla fede, Erasmo affida il rinnovamento politico all'umanesimo della cultura, nella quale ha una immensa fiducia: il concetto della cultura rinnovatrice del mondo ha in lui un grande ed appassionato sostenitore, ma già con gli equivoci che comportano i concetti di un umanesimo cristiano e di una nuova cristianità. Non filosofo nel senso canonico né teologo profondo, Erasmoè un letterato con un suo pensiero; alle lettere, che difende negli Antibarbari,
affida il rinnovamento della vita morale e civile contro una letteratura vuota del suo contenuto di valori spirituali, dilettantesca e pedante, satireggiata nel Ciceroniano; soprattutto lo affida allo studio delle lettere classiche, recuperate nel loro contenuto formativo e liberate dal nozionismo mnemonico, dall'imitazione passiva e dal culto quasi idolatrico dello stile. Resta vero ancora oggi - e lo sarà sempre - il suo concetto che i rinnovamenti e le riforme o sono interiori, e sono così anche sociali, o valgono a ben poco; di qui l'importanza decisiva della « paideia», che in Erasmo è classica e cristiana insieme.Anche il rinnovamento sociale e politico per lui é interiore. Nel secolo di Machiavelli egli sostiene ancora - a rischio, come nota il Pedini, di sconfinare nell'utopia - l'intima connessione tra morale e politica, sulla cui base nell'Elogio fa la satira della società e nella Institutio formula un disegno politico «illuminato da un significato umano e morale di alto valore educativo . . . Filosofo e politico in lui si corrispondono: la politica erasmiana è null'altro che l'estendersi, nel campo della pratica, del `leitmotiv' della libertà umana; il suo `uomo' libero di fronte a Dio ed alla sua ragione vuole sentirsi libero anche nei confronti della società ». Critico della guerra, che definisce« omnium bonarum rerum naufragium », sostiene un universalismo, fondato
sulla Christi sodalitas, diverso da quello stoico e ben lontano dal cosmopolitismo illuministico. Ma anche qui il «pacifismo» di Erasmo, che non direi incondizionato, è affidato, più che alle istituzioni, alla taumaturgica cultura. Ma il concetto erasmiano di rinnovamento attraverso la cultura, laicizzato e storicizzato assieme al suo contenuto cristiano, è già fin dall'inizio avviato a questo
esito: il « santo Socrate » di cui parla Erasmo è più che un indizio; esso sarà teorizzato fino a formularsi come religione o mito della cultura e perciò come mito di una nuova società, quella che, risolto tutto il messaggio cristiano nella storia dell'umano progresso, dirà il «perché non possa non dirsi cristiana ».Questi ed altri motivi e spunti il Pedini ha saputo cogliere e raccogliere nelle pagine del suo lavoro, attualizzandoli con puntuali riferimenti al nostro tempo non certo umanistico. Il suo libro, al quale auguriamo l'attenzione che merita, é insieme un avvertimento e l'indicazione di una prospettiva che, per quanto ha di valido, ci può essere ancora di guida. D'altra parte, per chi scrive è motivo di conforto che un uomo che da circa un quarto di secolo si dedica alla politica militante ed ha impegni non lievi di governo abbia conservato il gusto della cultura e, cosa più rara in un politico d'oggi, anche il rispetto.

Michele Federico Sciacca