AFRICA ANNO DIECI
1971  

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Era giusto che Mario Pedini raccogliesse in un volume le sue esperienze africane. Giusto perché egli ha visto l'Africa con l'attenzione del politico'e con l'affetto dell'uomo giustamente interessato ai problemi del Terzo Mondo. L'Africa è per tutti un'esperienza affascinante, un incontro continuo con situazioni e personaggi che non possono non lasciarti dentro «qualcosa». Non è l'Africa dei «safari» che vede impegnati gruppi di turisti frettolosi e travestiti da esploratori. Vorrei anzi dire che non è più l'Africa da guardare con la stupefazione delle memorie di avventure di caccia e fragorose danze tribali.È invece un Paese che si dibatte fra mille problemi, angosciato ancora da pericolosi rigurgiti di neo-colonialismo, ferito da realtà che il mondo civile non può, né deve tollerare. Un'Africa che si fa strada fra insidie che di continuo minacciano la sua stabilità. È una storia nuova, giovane. Una storia che nella maggior parte dei casi ha soltanto dieci anni di vita, perché intorno al 1960 si sono avute le prime dichiarazioni di indipendenza. Ma « indipendenza» per molti Paesi ha significato lotta, sacrifici, tirannie, perdite di migliaia di vite umane.È un dovere conoscere questa nuova storia dell'Africa e ben vengano quindi riflessioni, appunti, considerazioni come queste di Mario Pedini che nella sua valigia di uomo politico ha saputo mettere, con le pillole anti-malaria, vaccini e vitamine, quello che ogni viaggiatore che sbarca in Africa non dovrebbe dimenticare: l'amore. Un po' d'amore per questo Paese e per il suo popolo.Pedini, svincolandosi da facili entusiasmi consegna al pubblico un volume che non mancherà di appassionare e di interessare chi all'Africa guarda nel quadro della nuova realtà del Terzo Mondo. Gli incontri dell'Autore, a volte poetici, a volte drammatici, con il Continente Nero sono pagine schiette di vita vissuta. Che egli sia sinceramente legato all'Africa non ho alcun dubbio. In molte città, durante il mio lavoro giornalistico, il nome di Pedini mi ha aiutato a superare certe diffidenze che gli africani giustamente hanno verso la stampa europea. Spesso taluni personaggi della vita pubblica in Congo o in Zambia, in Tanzania o in Cameroun mi ricordano « monsieur Pedinì » o « mister Pedini » o più semplicemente « Buana Mario ». Buana in suaili significa signore. Buana Pedini non è in queste pagine soltanto il Sottosegretario agli Affari Esteri;
egli scrive come un uomo che ha visto e vede nell'Africa un motivo dominante dell'equilibrio mondiale, un motivo essenziale per il futuro della nostra stessa vecchia Europa. « ... Un'azione intelligente e lungimirante dell'Occidente (dice l'Autore) potrebbe tuttavia ristabilire un equilibrio, fermare le aggressioni, obbligarle a piegarsi ad una coesistenza pacifica fra mondi diversi ».In certe pagine il suo elogio della libertà e dell'uomo sono il giusto omaggio a coloro che per questa causa si sono immolati e a quanti, in tanti Paesi, continuano a farlo, al di sopra delle questioni politiche con la visione suprema della libertà come fattore inscindibile di dignità umana.Vorrei ricordare, a questo proposito, un passo del leader congolese Patrice Lumumba che lottò e morì per l'indipendenza del suo popolo. Nel suo testamento politico - una lettera indirizzata alla sua compagna - dice: « ... Ai miei figli che lascio e che forse non rivedrò mai più, voglio che venga detto che l'avvenire del Congo è bello e che da loro attende, come da ogni altro congolese, il compimento della sacra missione di ricostruire la nostra indipendenza e la nostra sovranità. Poiché senza dignità non c'è libertà, senza giustizia non c'è dignità e senza indipendenza non ci sono uomini liberi ». È un messaggio, questo, che mi f a sempre riflettere quando incontro l'Africa e gli africani, quando penso a coloro che in Mozambico o in Angola combattono e muoiono per conquistarsi l'indipendenza, il diritto cioè ad essere uomini liberi. È una ri-flessione anche dell'Autore quando scrive: « ... Nei nuovi Paesi africani la debolezza dell'Occidente nasce infatti, oltre che dalla sua equivoca posizione politica, che appoggia e non appoggia la libertà africana, anche dal fatto che esso non mette a disposizione mezzi e uomini sufficienti e non colloca la sua azione in una mentalità nuova ».Mario Pedini - qui essenzialmente uomo politico - esamina così nel suo Africa anno dieci i retroscena che hanno portato alle lotte di indipendenza e i pericoli che oggi minacciano gli stati giovani. Interessante il suo « appunto» sulla presenza cinese che rischia di avere ripercussioni notevoli sull'equilibrio economico e politico del Continente, sulla concorrenza fra Stati Uniti e Unione Sovietica. C'è in queste pagine dedicate al problema politico l'esperienza di chi ha compiuto, a nome dell'Italia, decine di missioni in un Continente dove noi siamo quell'Europa ex colonialista che deve finalmente scegliere fra passato e futuro in un dialogo franco se vogliamo che gli africani ci capiscano. Sono momenti delicati del rapporto AfricaEuropa che non saranno superati sulla base di semplici « assistenze tecniche ». Agli africani bisogna parlare un linguaggio chiaro: cosa chiediamo e cosa offriamo. Cosa offriamo per garantire la loro indipendenza contro chiunque, di qualsivoglia colore politico, si accinga a comprometterla, compromettendo al tempo stesso la loro dignità di uomini liberi. Preoccupazione che nella Populorum Progressio Paolo VI ha così espresso: « Se la crescita dello sviluppo richiede tecnici sempre più numerosi, essa esige, a più forte ragione, uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca di un nuovo umanesimo, che permetta all'uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d'amore, amicizia, preghiera e di contemplazione ».A questo esame di coscienza di uomo e di europeo Mario Pedini non si è sottratto. D'altro canto l'Autore me lo consenta - così facendo egli è rimasto fedele al ruolo svolto con fatica e rischi in tanti anni di Africa. Uno degli ultimi episodi del quale è stato protagonista ha confermato infine che l'Africa sa ricambiare la schiettezza con schiettezza. Erano i giorni drammatici del Biafra. Il mondo in ansia per la sorte dei tecnici dell'ENI di Kwale 3. Incontrai l'Autore a Libreville, capitale del Gabon. Ospite nel palazzo presidenziale di Albert Bongo passeggiai nel giardino con il consigliere e amico Mancini. Poche ore dopo, nella notte, insieme entravano in Biafra. Entrare significava rischiare molto e la posta era la vita degli operai dell'ENI. Una « missione » che ha commosso il nostro Paese. Pedini tornò con la barba incolta, stanco, turbato di ciò che aveva visto. Il giorno seguente i superstiti di Kwale erano liberi, restituiti al Mondo ed alle loro famiglie. Ricordo che Pedini mi disse:« Non è merito mio... è merito della politica onesta che ancora facciamo nei confronti dell'Africa. Qualche volta ne raccogliamo i frutti ».Politica onesta significa amore per la libertà che l'Autore, passo passo, in questi dieci anni di vita africana mostra di tenere presente in ogni momento quale legittima aspirazione di milioni di africani alle cui spalle sta una storia di stenti, miserie e ingiustizie di cui tutti, per il passato e alcuni per il presente, dobbiamo sentirci responsabili.

Emilio Fede
(Giornalista della RAI-TV)